Nichiren Shonin, nel primo anno di Kenji (1275), nella lettera San Sanzo Kiu no Koto (三三蔵祈雨事), scrive: “Per valutare le dottrine buddhiste, io, Nichiren, credo che i metodi migliori siano la ragione e la prova documentaria, ma la prova concreta è ancora migliore di queste”.

La prima prova, a cui è utile sottoporre la spiritualità cui aderiamo, è quella teorica; la seconda è la prova documentaria o testuale e la terza è la sua reale efficacia verificabile o prova concreta.

La prova teorica, consiste nel valutare non solo la qualità e lo spessore del pensiero spirituale, filosofico, pedagogico e psicologico di un insegnamento, ma anche di appurare se, nel suo insieme, è una vana credenza o una superstizione che esiga una adesione cieca e fideistica.

La prova documentaria o testuale è relativa invece alle scritture originali o alle opere cui si ispira. Nel caso della filosofia e della pratica buddhista, una particolare indicazione, per dirsi autentica, deve essere coerente e congrua con l’intero corpus dei sutra e quindi avere come base il triplice rifugio nei tre gioielli: il Buddha, il Dharma e il Sangha.

Ultima tra le prove, che Nichiren Shonin enfatizza in modo particolare, è quella concreta o empirica. Si vuole così affermare che i sacri insegnamenti di Buddha non si possono limitare solo ad una verifica razionale e ad una prova documentaria, quanto piuttosto alla loro efficacia nel migliorare, in concreto, la vita di chi si impegna a praticarli. In questo senso tale verifica è la più importante delle tre.

Le tre prove non sono un’invenzione di Nichiren Shonin ma sono una indicazione precisa e chiara del Buddha Shakyamuni. Leggiamo infatti, in un brano tratto dalla Predica di Buddha ai Kalama, di non porre fiducia in nulla, tranne in ciò che si esperisce come ragionevolmente fondato, quindi vero e buono in concreto, dopo attenta valutazione obiettiva:

“Non credete a ciò che avete udito; non credete alle tradizioni solo perché sono state tramandate per generazioni; non credete in qualcosa solo perché ne è corsa voce o molti ne hanno parlato; non credete semplicemente perché vi viene citata un’affermazione scritta di un qualche antico saggio; non credete nelle congetture; non credete in ciò che considerate vero perché vi ci siete attaccati per abitudine. Non credete semplicemente all’autorità dei vostri maestri e degli anziani. Dopo osservazione ed analisi, quando la verità che avete trovato si accorda con la ragione e contribuisce al bene ed al miglioramento di ognuno, allora accettatela, praticatela e vivete secondo essa”.

Nissen Shonin, il fondatore della Honmon Butsuryu Shu, ha basato il suo apostolato proprio su quest’ultima prova, il riscontro concreto dell’efficacia della pratica di fede nella vita quotidiana dei fedeli.

La prova concreta si manifesta principalmente come emancipazione dalle paure, come liberazione dall’angoscia e dai disagi esistenziali, come forza vitale che sostiene e corrobora i processi di guarigione del corpo e dell’animo, come protezione dai pericoli. Il male, presente nell’esistenza di ciascuno, è individuato dal Buddha Shakyamuni come dukkha (sansc. lett. malessere) e viene affrontato, superato e trasceso soltanto grazie ad una pratica di fede che confida, con tutto il cuore, nel potere compassionevole del Buddha e nel potere del Dharma meraviglioso presenti nel Gohonzon (i tre armonici poteri: giapp. san riki wago).

L’attività di diffusione del Sutra del Loto, da parte di Nissen Shonin, che si fondava sulla pratica concreta, fu però aspramente criticata da molti monaci, appartenenti alle Scuole dell’epoca. Essi erano convinti che la missione buddhista non dovesse assolutamente dar credito a fenomeni non razionalmente comprensibili o in effetti, straordinari. Sin da allora, accade e di frequente, che nella vita dei fedeli della Honmon Butsuryu Shu si verifichino dei miglioramenti inaspettati, grandi e piccoli, che si risolvano problematiche annose, che la vita di chi prega con amore, cambi realmente in meglio, che si riceva protezione dalle sante esistenza nella vita quotidiana.

Replicando a quel tipo di accuse, Nissen Shonin, affermava: “In questa nostra epoca di Mappo vi sono molte persone che non credono nell’esistenza del paradiso o dell’inferno o alle dimensioni spirituali della vita. Gli intellettuali non pregano Dio o Buddha e dimostrano la loro insipienza negando valore a quanto non riescono a comprendere razionalmente e non si preoccupano così della prossima esistenza. Per questa ragione, se si fa esperienza di fenomeni che non hanno una spiegazione razionale o scientifica ma sono il risultato dei benefici della pratica spirituale, anche le persone più ottuse o arroganti, impareranno ad avere fede”.

Nissen Shonin aveva ben compreso gli insegnamenti di Nichiren Shonin, il quale esorta il monaco laico Horen con queste parole: “In che modo bisogna prendere fede nel Sutra del Loto? Praticare gli insegnamenti di questo Sutra senza fede è come entrare in una montagna piena di tesori senza mani per raccoglierli o come cercare di compiere un viaggio di mille miglia senza gam­be. Afferra la fede che ti è lontana attraverso la prova concreta che ti è vicina” (Horen sho 法蓮抄).

Il venerabile Nissen Shonin promuoveva così la sua opera di catechesi, insegnando a fare attenzione alle co-incidenze significative o sincronicità, agli eventi ritenuti fortuiti o non ordinari che accadono nella vita di quanti invocano l’Odaimoku con tutto il cuore, con gioia, devozione e gratitudine. I benefici (giapp. Goriyaku 御利益) sono tutte le cose buone e belle che derivano dalla preghiera e dall’impegnarsi a praticare la Via del Bodhisattva nella vita di tutti i giorni. 

È importante che i fedeli verifichino ed abbiano coscienza dei cambiamenti che avvengono da quando hanno cominciato a praticare ma è altrettanto necessario che qualcuno faccia loro cogliere e comprendere i Goriyaku ricevuti, quando non se ne rendono conto.

La gratitudine nasce spontanea nel cuore di coloro che avendo un cuore semplice, nutrono una fede pura; i benefici concreti che derivano dalla pratica, sono elementi necessari alla vita di tutti i giorni. Se riconosciuti, hanno un grande valore ed un profondo significato. La consapevolezza di aver ricevuto dei benefici apre nuovamente il cuore, se oscurato dal male, allo stupore, alla meraviglia e al bene, alla gioia, alla gratitudine ed alla speranza. Così, come i figli nella parabola del buon padre medico, nel capitolo XVI del Sutra del Loto; sconfortati dalla notizia giunta della morte del padre e sentendosi orfani e indifesi, tornano finalmente in sé, ricordano e fanno quanto egli aveva detto per il loro bene, assumono la medicina che egli aveva preparato e guariscono. Il padre in quel momento appare loro, vivo.

«Indipendentemente dalla conoscenza acquisita grazie allo studio delle dottrine buddhiste, se una persona non ha una fede pura, non può ricevere né i meriti né ottenere illuminazione da Buddha. Invece, anche qualora una persona fosse illetterata, può ricevere i sacri meriti (giapp. Kudoku 功徳品) se invoca l’Odaimoku con una fede pura» (Nissen Shonin, Goshinan).

La fede riveste un ruolo essenziale nel Sutra del Loto e la Honmon Butsuryu Shu, che si attiene rispettosamente agli insegnamenti del Buddha Shakyamuni e di Nichiren Shonin, questo insegna.

La fede è la causa che ci permette di ricevere i benefici (giapp. Kudoku 功徳品) dell’illuminazione ed è grazie ad essa che praticando, possiamo ricevere dal Gohonzon: la sacra energia spirituale che ci purifica dal karma negativo accumulato vita dopo vita, i sacri benefici visibili (giapp. Goriyaku御利益), la protezione e l’illuminazione nella forma presente (giapp. Sokushin Jobutsu 即身仏).

Tutto il Buddismo Mahayana pone grande enfasi sulla fede. Nel Sutra della Ghirlanda di fiori si afferma: “La fede è la causa prima della Via e la madre dei benefici”. Nel Sutra del Mahaparinirvana si legge: “Sebbene vi siano innumerevoli pratiche che conducono all’illuminazione, l’insegnamento della fede le includerà tutte”. 

Nel secondo capitolo del Sutra del Loto (Hoben), il Buddha Shakyamuni rivolgendosi a Shariputra, il discepolo più saggio di tutti, afferma: “La saggezza dei Buddha è infinitamente profonda e incommensurabile. L’accesso a questa saggezza è difficile da comprendere e da varcare. Nessuno tra gli uomini di studio (giapp. Shomon) e degli uomini di consapevolezza (giapp. Engaku) è in grado di comprenderla”. 

Nella lettera a Niike, Nichiren Shonin scrive infatti che ci sono persone che pur avendo una profonda conoscenza del Buddhismo non hanno fede: “U-ge-mu-shin“, costoro non potranno acquisire i meriti o i benefici dell’illuminazione, mentre al contrario, vi sono coloro che pur non avendo una conoscenza approfondita ma solo superficiale dei sacri insegnamenti, hanno però una vera fede: “U-shin-mu-ge“, costoro sono coloro che ottengo copiosi meriti e benefici da Buddha.

Nichiren Shonin, con queste espressioni, si riferisce al principio buddhista di “i-shin-dai-e” ovvero: i (以) usare, shin (信) la fede, dai (代) sostituire/al posto di, e (慧) la saggezza, di cui Buddha Shakyamuni parla al discepolo Shariputra (giapp. Sharihotsu, 舎利弗).

Questo è il principio secondo il quale la fede è la vera causa per ottenere la suprema illuminazione; solo la fede infatti ci consente di ottenere i benefici e l’illuminazione. Invocare l’Odaimoku con gioia e gratitudine, con tutto il cuore, è già la dimostrazione concreta che la fede opera fattivamente nella vita di chi prega e pregare con fede, è già di per sé illuminazione.

“Anche se una persona non legge né studia il Sutra, invocarne il titolo soltanto è la sorgente di un’immensa fortuna. Il Sutra del Loto insegna che le donne, gli uomini malvagi e coloro che vivono nei regni degli animali e dell’inferno –di fatto tutti gli esseri dei Dieci mondi– possono conseguire la Buddhità nella loro forma presente (giapp. soku shin Jobutsu). È una cosa eccezionale, straordinariamente più grande del produrre il fuoco da una pietra raccolta dalle profondità di un fiume, o di una lampada che rischiara un luogo rimasto buio per cento, mille o diecimila anni” (Lettera alla monaca laica Myoho, Myoho-ama Gozen Gohenji (妙法尼御前御返事).

Nel trattato Shishin Gohon Sho (四信五品抄), Sui quattro stadi della fede e i cinque stadi della pratica, Nichiren Shonin, afferma: “Poiché la nostra saggezza è inadeguata, Shakyamuni Buddha ci insegna a sostituire la saggezza con la fede, facendo di questa singola parola «fede» il fondamento di tutto”.

Quando invochiamo l’Odaimoku con gioia, devozione e gratitudine, perché siamo consapevoli che stiamo purificando il nostro karma negativo grazie alla compassione del Buddha che ce lo ha donato con amore, allora otterremo naturalmente copiosi benefici, poiché la nostra anima si unisce armoniosamente e perfettamente alla grande anima del Buddha e al suo spirito vivificatore (giapp. Myoho) presenti nel Gohonzon, tanto da realizzare che siamo identici a Lui, come infatti è scritto nel Kanjin Honzon Sho (如来滅後五五百歳始観心本尊抄同送状): “I Suoi discepoli sono identici a Lui, poiché la mente di ogni essere vivente compenetra i tremila mondi e i tre regni dell’esistenza”. E ancora: “La duplice essenza, delle cause delle pratiche del venerato Shakyamuni e delle meritorie virtù contenute nei suoi frutti, costituisce [cosa di cui] i cinque caratteri di Myohorengekyo sono interamente [e perfettamente] dotati. Abbracciare e mantenere questi cinque caratteri di Myohorengekyo ci consentirà di ottenere, con naturalezza, cause e frutti delle Sue meritorie virtù”.

La parabola del padre medico, Sutra del Loto, cap. XVI

«Per esempio, immaginate un bravo medico, saggio e competente, che sa preparare medicine per curare qualsiasi malattia. Egli ha molti figli, forse dieci, venti o anche cento. Un giorno si reca lontano in un altro paese per occuparsi di certi affari. Dopo che si è allontanato, i figli bevono un veleno che li fa spasimare dal dolore e li fa cadere a terra agonizzanti. A quel tempo il padre torna a casa e scopre che i figli hanno bevuto il veleno. Alcuni sono completamente fuori di sé, mentre altri non lo sono. Vedendo il padre che è tornato da lontano, tutti i figli ne sono felici, si inginocchiano e lo implorano: “Quanto siamo contenti che tu sia tornato sano e salvo. Siamo stati stupidi e per errore abbiamo bevuto del veleno. Ti preghiamo di curarci e di farci vivere ancora! Il padre, vedendo i figli così sofferenti, utilizza varie ricette: raccoglie buone erbe medicinali, tutte perfette nel colore, nell’aroma e di sapore gradevole, le macina, le setaccia e le miscela insieme. Ne dà una dose ai figli dicendo loro: “Questa è una medicina molto efficace, perfetta nel colore, nell’aroma e di sapore gradevole. Prendetela e sarete presto guariti dai vostri dolori e liberi da qualsiasi malattia. I figli che non hanno perso il senno capiscono che si tratta di una buona medicina, eccellente per colore e aroma, la prendono e guariscono subito dai loro mali. Coloro che invece non sono più in sé sono comunque felici di vedere il padre che è tornato e lo implorano di curarli, ma quando viene data loro la medicina, rifiutano di prenderla. Perché? Perché il veleno è penetrato profondamente ed essi hanno perduto il senno. Così, benché la medicina sia di colore e aroma eccellenti, essi non credono che sia buona. Tra sé e sé il padre pensa: “Poveri figli miei! A causa del veleno che hanno ingerito le loro menti sono completamente annebbiate. Sono felici di vedermi e mi chiedono di curarli, tuttavia rifiutano di prendere questa ottima medicina. Occorre che escogiti qualche espediente per indurli a berla”. Così dice ai figli: “Sappiate che ormai sono vecchio ed esausto e l’ora della mia morte è vicina. Adesso lascerò qui questa buona medicina. Prendetela e non temete che non vi guarisca”. Dopo aver dato queste istruzioni, si reca in un altro paese da cui invia un messaggero che annuncia: “Vostro padre è morto. Allora i figli, sentendo che il padre li ha abbandonati ed è morto, provano un immenso dolore e pensano: “Se nostro padre fosse vivo, avrebbe pietà di noi e ci proteggerebbe. Ma ora egli ci ha lasciato ed è morto in qualche terra lontana. Siamo orfani senza difese e non abbiamo nessuno su cui contare. Tormentati di continuo da questi pensieri, alla fine i figli ritornano in sé e capiscono che in effetti la medicina è ottima per colore, aroma e sapore; così la bevono e guariscono da tutti i dolori causati dal veleno. Il padre, udendo che i figli sono guariti, torna immediatamente a casa e riappare davanti a loro».